PNEUMA
PNEUMA è un progetto inedito nato dall’incontro e dallo scambio tra l’esperienza scenico-compositiva della coreografa Simona Bertozzi e dalle prospettive teorico-didattiche tracciate dallo studioso Enrico Pitozzi.
PNEUMA fonda il suo statuto sull’analisi del movimento e sul funzionamento della percezione, là dove la composizione coreografica incontra il pensiero in azione per disegnare le traiettorie di una nuova estetica del corpo.
PNEUMA si rivolge a danzatori, performers, critici, studiosi della danza e delle arti performative, operatori e più in generale a tutti coloro che sono interessati alle metodologie di creazione e analisi del movimento, di composizione coreografica e produzione di una scrittura scenica del corpo.
PNEUMA si articola in 4 giorni e si sviluppa in due diversi momenti:
a)- Un workshop di due giorni per un totale di 12 ore (6+6) destinato a un numero massimo di 15 partecipanti e condotto in sinergia dai due ideatori;
b)- Una serata, aperta al pubblico, che comprende un solo-performance di Simona Bertozzi e un atto di pensiero di Enrico Pitozzi;
I. Temi del progetto
PNEUMA ha come oggetto il corpo e l’analisi del movimento. Muoversi significa, prima di tutto, immaginare la propria anatomia nello spazio e solo in un secondo momento comporre materialmente il gesto, l’azione. In questo schema, la percezione – cioè l’insieme delle funzioni cognitive di un corpo – è alla base del movimento: la percezione è già un’azione. A partire da questa semplice equazione scenica si determina la qualità della presenza di un corpo.
Quando affermiamo, parlando di certi attori o danzatori, che essi hanno una presenza, evochiamo così una qualità sottile che sfugge all’articolazione del discorso, un’attitudine che sappiamo riconoscere, possiamo perfino nominarla senza tuttavia poterla definire con esattezza. Di cosa parliamo, dunque, quando attribuiamo una presenza a un corpo? Che ruolo gioca la percezione nella definizione della presenza? Quali i modi attraverso i quali essa si dà, quali i suoi effetti? E ancora, che ruolo gioca l’immaginazione nella composizione del movimento coreografico? Che rapporto si istituisce tra corpo, tempo e spazio dell’azione?
Lungi dall’essere vincolati all’esplorazione di una dimensione costitutivamente sfuggente, è necessario procedere a una radicale immersione nella concretezza materiale della scena, nei suoi processi e nei suoi effetti, esercitando al contempo un atteggiamento teorico-analitico che non lasci margine ad alcun lassismo metodologico, ad alcuna scorciatoia nell’analisi. Solo quest’attitudine congiunta di pratica e pensiero impone un’attenzione vigile nel radiografare quegli aspetti della composizione del movimento che qui intendiamo mettere nuovamente in valore.
I.1. Presenza
La presenza del corpo è qualcosa d’indeterminato. Il suo incanto sembra sprigionare da un inafferrabile non-so-che, da qualcosa che circola e si irradia in tutte le sue parti senza localizzarsi in un punto preciso. La presenza è un tremore. Una fragilità radiosa che sfugge la possibilità di stabilizzarsi in una forma precisa e definibile e che si origina attraverso un passaggio di stato che si proietta al di là dei limiti del corpo. La presenza non coincide, dunque, con il corpo: essa è piuttosto portata dal corpo. La condizione di presenza è paesaggistica, non si risolve in un elemento o una forma del corpo ma si dispiega nella totalità delle informazioni organiche predisponendole ad una relazione complessa e strutturata con il tempo e con lo spazio.
I.2. Percezione
La percezione è azione. La presenza prende forma a partire dalla sua organizzazione. Percepire in modo diverso porta a comporre l’azione in modo inedito. Si tratta qui di pensare al corpo come corpo-paesaggio, corpo in quanto moltitudine di possibilità di apparizione così come di mimetismo, metamorfosi, annullamento, dissolvenza. In questo stato di massima consapevolezza e propensione percettiva è possibile iniziare un tracciato cinetico fatto di tridimensionalità e volumi, selezionando origini e vettori di trasmissione del movimento. Questo è possibile solo se si padroneggia una geografia percettiva del corpo secondo una logica precisa e leggibile del suo funzionamento interno. Percezione è irradiazione scheletrica, spostamento e collocazione del peso, allineamento, equilibrio e out of balancing, pressione dei perni. La percezione è tridimensionalità ossea, corpo-sonda, estensione delle facoltà sensoriali di un corpo.
I.3. Spazio
Il corpo è spazio ed abita uno spazio. Esiste uno spazio interno al corpo – lo spazio fisiologico del micro-movimento, la sua geografia sensoriale – così come si dà uno spazio esterno al corpo, disegnato dal corpo mediante la geometria delle sue traiettorie.
Fare spazio con il corpo significa dunque percepire a 360°, fare del corpo un’architettura grazie alla precisa consapevolezza della collocazione di ogni parte del corpo rispetto all’asse centrale e alle possibili ricadute del peso e del suo trasferimento. Si tratta di pensare il movimento in base ai suoi nodi, ai piani orizzontali di rotazione di ogni articolazione; pre-disposto e potenzialmente attivo anche nell’immobilità, nell’attesa. Tutto è immanente. Comporre il movimento significa, in altri termini, disegnare lo spazio intorno al corpo: disporre il movimento come una traccia impressa nel volume invisibile dell’aria.
I.4. Tempo
Disegnare lo spazio con il corpo permetta di dar forma al tempo. Si tratta qui di un elogio del tempo inquieto, in cui il tempo stesso esce dai suoi cardini per segnare il passaggio dal tempo delle forme alle forme del tempo. È qui, in questo passaggio, che le cose si danno a vedere – la presenza del corpo s’irradia, l’atmosfera della scena si distende – affiorando come in un negativo fotografico. Allora ciò che resta, ciò che viene consegnato alla scena, è un bagliore fatto di niente, un quasi-nulla, una traccia luminosa e leggera tra tutte le cose luminose e leggere: ciò che resta è un’indefinita sensazione, una traccia, un’impressione.
I.5. Atmosfera
Atmosfera è la temperatura della scena, il modo in cui i corpi e gli altri enti d’incontrano in una forma transitoria. L’atmosfera è uno stato delle cose che si dà in modo latente: è una sensazione da abitare. Le atmosfere che la scena crea sono il modo in cui esse impressionano lo spettatore, producono in lui degli effetti, delle immagini che parlano alla sua percezione emotiva e sopravvivono nella sua memoria. Ad impressionare sono così architetture gestuali, tagli di luce, pulsazioni di suono – cromie e bagliori.
Là dove l’atmosferico si contrae in presenza, la presenza s’irradia nell’atmosfera.